5. Il Cuculo
Ora che tempo bastevole è stato in mezzo, e spazio molto, e
cose, posso dire del cuculo. Il cuculo è uccello di colore e di grandezza di
simiglianza di sparviere, salvo che è più lungo, ed ha il becco teso. E le
sedie parate a damasco. Nella superstizione popolare si ha per portator di
presagio. Esso è dispari.
In stagione buona andavano al
fiume, un fiume di acqua ghiaccia, da stare sui sassi al sole, come i ramarri.
Solo meno verdi, meno squamosi, meno ignari del mondo. Lei di più. E il cuculo
era il segno della differenza: la consapevolezza da una parte sola, la
laplaciana condizione della divinità: di là sta quello che ha deciso; di là, da
quell’altra parte, su quell’altro sasso più piccolo, sta quella che nemmeno sa
che una decisione fosse da decidersi. In mezzo sta il cuculo, ed esso sa.
Perciò guarda quello che non sa, e vede che sta facendo quello che fa e pensando
quello che pensa, come se decisione non fosse stata decisa, nessuna. Quello che
sa, perché ha deciso la decisione, anche lui fa, come se non sapesse, ma sa; e
a rammentarlo, dopo, è insofferibile.
Il cuculo
è la carta che vince. Come le buste con dentro i risultati. Come un pomeriggio che due, poniamo i due dei
sassi, vanno a fare fascine, poniamo di faggio, per i piselli. Poniamo sia
di lunedì, e mentre le fanno su uno, quello più ignaro, pensa i pensieri che ha
pensato tutti i lunedì, di tutte le settimane di prima, e guarda le cose come
le ha guardate tutti i lunedì, di tutte le settimane di prima, e parla le
stesse parole; l’altro invece sa che martedì se ne va. Martedì, cioè domani, e
però fa quelle stesse cose, e dice quelle parole, le stesse di tutti i lunedì
di prima. Pensare a questa cosa delle fascine è quasi impossibile ancora
adesso, che è passato molto spazio, e c’è stato tempo, e cose, e di quell’uomo
quasi estraneo non le importa più quasi nulla. È lo iato, atemporale e
laplaciano, che a rammentarlo è insofferibile. È il cuculo che ha messo i risultati nelle buste. Come quella sera al telefono col padre, che lo
sapeva, il padre, che si sarebbe sparato il mattino dopo. E la figlia no. E
lui, il padre, era infelice. La figlia non ancora. E il cuculo era sul paletto
dell’orto. “What are we doing in here, Chief?”