Il preambolo
C’è una storia costante, di uccelli canori strozzati per
farli tacere. Non si può decifrare al momento, solo si capisce che dice
qualcosa di importante, dal momento che qualcuno ha ipotizzato che la
spiegazione della storia sarà la spiegazione del resto tutto.
È una storia terrificante, si poteva forse azzardare un
inizio meno cruento, ma così è. Forse tutto ciò ha a che fare con Ignazio, anche
se Ignazio invero era uno solo, anzi una sola, e non cantava. Più che altro si
guardava i piedi, o zampe. Stava a guardarsi i piedi, o zampe, e basta. Poi è successo
tutto e ora sono qui ad elencare dei sintomi che non so nemmeno sentire.
Figuriamoci dirli, figuriamoci scriverli.
Mi domando talvolta perché il narratore si sta prendendo
gioco di noi. Poteva farmi davvero rotolare dabbasso quella volta sul monte
gelato. Perché non lo ha fatto? Per vedere cosa succedeva? Cosa succede? Ho
l’impressione di essere un esperimento idiota di un dio burlone. Che il senso
non ci sia, semplicemente. E gli uccelli canori strozzati siano una storia
insulsa, come il resto.
Ho collezionato tutto quello che pareva dirmi qualcosa; sto
a guardare l’acqua quando è ferma e ho cominciato a temerne la profondità,
massime quella marina. Nuoto con le palme delle mani sulla sabbia. Mi mettevo
nell’acqua quando fuori era troppo brutto, ma ora ho paura dell’acqua, più che
del fuori dell’acqua. Allora ho cominciato a vivere nelle parole, e quando sono
troppo brutte le cambio. Nel mio mondo può accadere qualsiasi cosa. Il
narratore ha delle idee buone, all’inizio le gestiva anche, poi basta. Ma non
ha il coraggio di ammetterlo.
Ha fatto morire il personaggio principale, una mattina di
agosto in un magazzino insignificante di una periferia insignificante di
un’insignificante cittadina di pianura quasi piatta. Così non gli ho potuto raccontare
del dito, né del resto.
Questo è
solo il preambolo.