martedì 30 dicembre 2014

Tarocchi Truccati 12 (Il Movimento fermo)

Il Movimento fermo

“Ma siete in buoni rapporti, con la Marta? Abbiamo questo cruccio, che non vi odiate... non ci odiamo!” Pensava tenerezza d’animo, lei, qualche residuo di affetto. Ahahahahah. Temevano, loro, anzi no forse erano semplicemente terrorizzati dal fatto che gli estorcesse, lei a lui, denari molti, e case, e terre, e gioie: crisopazii. Lapis Lazuli. Come risarcimento danni morali, che avevano sentito basta un avvocato consenziente, se donna meglio, che consenzia di certo. Ahahahahah.
— Cosa c’entra questo con i ripple marks?
— Nulla. Le pare? Cosa sono i ripple marks?
— Forme di fondo
— Figure di fuochi?
— Perché mai?
— Non so, mi veniva così. Questo inutile avere dolore. Comunque lo so cosa sono. Sono andata a cercare: in fondo sono ossimori. Forme di ossimori (di fondo). Movimenti fermi: non avevo mai pensato che si dessero altrove dalle figure di pensiero, e invece qui mi dicono che stanno nella sabbia. Cioè era sabbia, per giunta. Ora è tipo calcestruzzo (anche il calcestruzzo è una figura retorica). Un blocco di movimento. Non però come quei tizi che si arrestano mentre stanno facendo una cosa, per quanto complessa. Quelli che stanno andando per la crosta artica e vengono sorpresi dalla tormenta. Come il raggio della morte di Zagor (sto dicendo dei nomi a caso). Come l’orologio di Milano fa tic tac. No, non è il congelamento della singola azione, che sono buoni tutti. È il congelamento dell’iterazione stessa. Come a dire che uno non solo smette di fare, ma smette di continuare a fare. È strepitoso. Una volta ci scrissi anche un articolo, che giustamente mi rifiutarono. Ma era bello: trattava del fatto che il motore immobile è una caviglia, in fondo: come se lei interpretasse il suo proprio stato di triangolo perpetuo come una ripetuta azione di essere un triangolo. Nell’ipotesi ovviamente che lei sia un triangolo. È sempre la medesima storia. Nox est perpetua una dormienda.
— Bello, ma non è che ha scritto anche altro, roba più eventualmente monetizzabile, storie d’amore, racconti, guerre, viaggi, temi sociali, didassi culinaria?
— Una volta scrissi un libro, cioè lo sto ancora scrivendo, perpetuamente lo scrivo, e vanamente. Ma è bello, tratta del fatto che Hercule Savinien (de Cyrano de Bergerac (totum ut te faciant, Cyrane, nasum)) e Alessandro Magno sono la stessa persona. La storia è piena di indizi e di evidenze, e nessuno se n’è mai avveduto. Ciò mi ha sempre dato da pensare. A lei no? Prenda già solo il rapporto che intrattengono coi rispettivi precettori, per non dire dell’omosessualità latente. O comunque non così espressa. E gli occhi. E poi lei conosce molti altri che siano stati sulla luna?
— Astolfo.
— Astolfo è un personaggio inventato. Loro sono veri.
— Ma non sono stati veramente sulla luna.
— Questo lo dice lei. Prenda Leone l’Arciprete, prenda il resoconto di Hercule, scritto da lui medesimo: ci è andato con un razzo. Si è pure accorto di quando è uscito dalla sfera d’azione della terra, e di quando è entrato in quella della luna. Più piccina quest’ultima sfera, e dice correttamente. E poi hanno visto il paradiso terrestre. Elia. Santi martiri demoni scimmie fontane e alberi miracolosi. I racconti praticamente coincidono. Come quelli che vengono rapiti dagli alieni e portati in una stanza: li sedano e poi mettono loro delle robe nel naso, onde estrarne l’anima. Ché essi, i marziani, non ce l’hanno, come lei ben sa. Gli umani sì, taluni. I marziani allora li identificano, li rapiscono, ne suggono lo spirito e lo introducono surrettiziamente in un corpo alieno (alieno in senso stretto). Ovviamente di lì a poco, diciamo un quarto d’ora, l’anima si avvede d’essere in luogo ostile, e in quanto anima migrante fa ritorno al suo luogo proprio. Lei comprende che a forza di quarti d’ora ce ne vuole, a mettere insieme un qualcosa di ragionevole. Quindi rapiscono molti umani. Bene, tutti costoro, interrogati dalla polizia, descrivono lo stesso luogo, arredamento preciso identico, ha presente quello di Star Trek? Ecco, uguale preciso: come spiega lei la coincidenza di migliaia di migliaia di racconti? E gli alieni pure, o sono piccoli e verdi con gli occhioni e le braccia lunghe lunghe, oppure alti e grigi, tipo una mantide. E anche altre fogge molte; ho una tabella, gliela mando. Me l’ha data un amico matematico.
— Uomo di senno, vedo.
— Uomo di senno ancora alquanto, benché in parte lasciato appresso ad una donna
— una donna senza cuore
— chissà se ci pensa ancora
— chissà. Non ho mai compreso come il senno lasciato appo la donna lo si ritrovi sulla luna.
— Lei ci crede dunque. Eppure Alessandro non ne fa cenno, mi pare, e di certo non ne parla Cyrano. Ma forse lei continua a prestar fede a quel suo Astolfo, che assai verisimilmente ci trovò artigli d’aquile, cicale scoppiate e castella ruinate, e serpi con faccia di donzella (niente a che vedere con le serpent qu’essaie toujours à s’échapper du corps de l’homme, di che narra il più saggio Cyrano) e minestre versate… assai credibile davvero. Non vorrei che tutto ciò avesse a che fare molto più banalmente e fisiologicamente con questioni ormonali: la luna che funesta l’umore della femmina, e la rende sommamente molesta all’uomo. Talvolta a sé medesima, anche se raramente lo ammetterà. Propenderei pertanto per un’interpretazione lacaniana. Una a caso, decida lei, tanto sono tutte vere. E tutte false. E tutte molto credibili davvero.
— Lei non ci crede, vero?
— No, si vede? Credevo alle parole, e a talune cose. Gli Sciti e gl’Indi e i regni nabatei. Indie busillis magnis plenae. Alle regole e ai segni. Un’aurora boreale, durante l’assedio di Antiochia. Ora sono finiti i presagi: troppa consapevolezza guasta il gioco: c’era un coniglio nel cappello, l’ho visto… ora non c’è più, e poi era un topo grande… ma noi vogliamo giocare ancora: facciamo finta che scappavamo da Anchorage, nella neve per 5 giorni, 1868 chilometri, meno quaranta, colle slitte coi cani? Vince chi arriva primo. Costruiamoci storie apposta, per avere qualcosa da decifrare. Come il primo giorno di scuola, come la settimana enigmistica, che poi però ti mostrano la pagina colle soluzioni, la pagina del registro dei fatti, dove stanno le facce da grandi dei bimbi di possibilità. Altri fiumi altri laghi altre campagne, vani disegni che non han mai loco.
— Non ci crede più, vero?
— No, si vede?

martedì 25 novembre 2014

Parendole esser (certissimamente) certo di non poter punto scrivere

So che dovrei scrivere qualcosa, ma non succede nulla. Cioè succedere succede, fuori dal foglio, poi se mi metto a scrivere non succede più nulla. Mah.

giovedì 5 giugno 2014

Tarocchi Truccati 2 (Il Ligustro)

2. Il Ligustro

I bambini di ciò ritenuti meritevoli riceveranno in dono 1 violetta. Una violetta ad un bambino, una volta la settimana. Sia pure una volta al giorno, che fa sei violette a settimana, per sei bambini. Che fa sì che, siano trenta, siano le probabilità uniformemente distribuite (falso), tra due violette stanno cinque settimane. Le violette sono cattivissime, ad essere onesti. Ad essere bambini sono buonissime: zucchero, colorante viola, aroma artificiale di profumo di violetta. Solo la maestra attinge al mondo iperuranio delle violette. Il bambino entra in contatto col mondo iperuranio delle violette per via mediata, quando la maestra lo ritenga meritevole di ciò, più o meno ogni cinque settimane. Il bambino non entra in contatto diretto col mondo iperuranio delle violette.
I bambini vanno in vacanza due settimane all’anno, in giugno che costa meno, ad Arenzano che già costa poco. I bambini non quantificano, vanno al mare, e il mare ad Arenzano a giugno è bellissimo. Anche se ad essere onesti è bruttissimo. Ma da bambino è bellissimo: sabbia di sassi, cabine a strisce verdi e bianche, e il Profumo Fortissimo. Il bambino attinge al mondo marino del mare enosigeo una volta all’anno, per via mediata, attraverso il mare piscioso di Arenzano a giugno. Questo una volta ogni undici mesi. Nel rimanente cerca di riformulare nel naso il Profumo Fortissimo, talvolta riuscendovi, più spesso no; e anche gli sembra ma è altro. Difficile comunicare, impossibile illustrare, financo ostendere: lavanda – i grandi pensano di sapere sempre – ma lavanda non è: lavanda è quella dei sotterranei del santuario, col presepe semovente di ceramica, e i venditori di cactus nani. In ogni caso deve venire da una pianta, assicurano i grandi, ma i grandi sono spietati: per pietà si pazienta, ma la pietà loro non la sanno, e così verrà anche il giorno in cui ti diranno che il chinotto è un frutto. No, il chinotto è un gusto. No, è un frutto: ascolta la mamma: vedi, somiglia all’arancio, solo è più piccolo, … no! no! noooo! io mi tappo le orecchie e il chinotto non è un frutto. Il chinotto è un gusto. E il Profumo Fortissimo è un profumo. Non una pianta.
Però invece il chinotto è un frutto, e un giorno da grande stavo andando a correre, su per una scala di sasso, in un altro mare, e c’era il Profumo Fortissimo, che veniva incontrovertibilmente da una pianta. I grandi sono spietati, anche con sé stessi: il Profumo Fortissimo è il profumo del ligustro: vedi, somiglia al pitosforo, ma… no! no! noooo! io mi tappo le orecchie e il ligustro non è una pianta… Ah no? Non è una pianta? Allora è un animale: vedi, un animale grande grandissimo, loricato, alato, caudato, ocra, spietato, con sottilissimi denti: vedi, somiglia allo pterodattilo, solo è più grande… vedi: prima di tutto morsica forte il coccodrillo a fiori Camillo, che essendo di gomma gonfiabile deflagra, indi lo tritura, e ne sparpaglia i resti su tutta la regione, come l’ombita. Poi, con residui fiorati ancora tra i denti, si reca al santuario del bambino di Praga – che poi è lo stesso che il bambingesù, che è lo stesso di Gesù bambino, che è lo stesso di Gesù da grande, solo più piccolo – e caca nel presepe semovente. Poi finalmente mangia. In successione: il Baciccia, il cane del Baciccia, il nonno, la nonna e la zia Clara; poi le acciughe sotto sale nei vasi di vetro sotto il lavandino di ciniglia – di graniglia – e le lumache da corsa. I bagnanti e i bagnini: il bagnino bruno colla mamma del Carlandrea nella cabina a strisce bianca e verde, e poi il bagnino biondo col flipper e la sigaretta e la cingomma (insieme, che da bambino significa il diavolo). Poi i cactus nani, il gelato fiordifragola, la pizza bianca e la sabbia nella pizza bianca… e poi le violette…

“No! no! nooooo! le violette no…” – “Non piangere, bambino, che tanto le violette si comprano dal droghiere: vedi, un intiero sacchetto, tu dai al droghiere il soldino e lui ti dà le violette: somigliano precise alle altre caramelle, solo un po’ più nauseabonde…”

mercoledì 4 giugno 2014

Tarocchi Truccati 9 (Il Padre)

9. Il Padre

Non credo di pigliar errore affermando che al mondo io ci venni sotto stelle nimichissime, per l’errar degli astri — Giove nella casa del Lupo — concomitante cometa, che morbo e sangue, e per sempre lutto tenace adduce. Ebbi a schifo il nomadismo più che altro, e l’opaco dei boschi, e gl’insetti tutti. A terrore ebbi l’unghie dei piedi, tagliate corte, e forse i ladri. Ebbi un figlio di poche parole, perciò preferito – se mai sceglier si debba – e una figlia di molte. Madre forse, essendolo, sarei stato felice. Padre no.

giovedì 1 maggio 2014

Tarocchi Truccati 7 (Il Negro Because)


7  Il negro Because

Viaggiare nei treni di notte non significa più nulla. Ti siedi e aspetti. Aspetti di dormire soprattutto, o qualsiasi altra cosa, tanto non arriva. Arriva (accade che arrivi) il negro Because. Cioè arrivò quella volta. Se ne stava seduto sullo strapuntino, tranquillone, seco una borsa da ginnastica parallelepipeda, un pò tarchiato, più che altro largo (non tanto schiacciato quanto proprio largo), anche la faccia, larga, schiacciata sul palmo. In abito di non eccelsa apparenza. Sullo strapuntino, con tutti gli scompartimenti vuoti; avrà i suoi motivi. Avrà avuto i suoi motivi prima, dopo non più, dopo che in effetti entra in uno scompartimento. Il mio. Entra con lui (prima? poco dopo? concomita, in ogni caso) un puzzo fetente di vino Tavernello. Non potente, puzzo lieve, neppure così ingrato. Non buono, questo no. Breve conversazione polidiomatica onde stabilire la lingua ufficiale: inglese. L’inglese va saputo, segue spiegazione in inglese del perché, incomprensibile a chiunque tranne eventualmente (eventually) al negro Because. Because l’inglese è pessimo. Risposta vaga, adattabile all’affermazione qualsiasi essa fosse, se era, o forse era una domanda, e appunto alla domanda risponde, per quanto vagamente. Confronto dialettico distratto, senza particolare ansia di confutare l’avversario. Dove abiti, cosa fai, fa l’informatico, dice, ma dice poco convinto, poco convince, né del resto pare importargli troppo, hai figli, hai marito, io cerco una fidanzata, in inglese: I needs a girlfriend, because (coordinante causale) I have a very big cock. A very long penis (riformulazione dell’asserto in linguaggio tecnico). Tentativo di piazzare la merce, puramente dialettico, il tentativo. Pressante ma dialettico, ed è già qualcosa. Non che le ragioni contra lo convincano, non che convincano, in assoluto, le controargomentazioni a sostegno, strutturate in forma di lievissima variatio, forse solo nell’inflessione della voce, o nell’espressione del volto largo, dell’iniziale argomento dimensionale. O quantitativo. Pare che datasi la quantità l’aspetto qualitativo della faccenda sia anzi trascurabile. Parbleu.

sabato 26 aprile 2014

Tarocchi Truccati 1 (Il Tempo)

1 Il Tempo

Unghie, Molossi, Figli felici. L’edicola è luogo dello spirito. Luogo del non riserbo. Non luogo del verbo, del lobo e del nerbo. Unghie, Molossi, Figli felici. Ho fatto cinque ore di lezione stamattina. Meno i quarti d’ora dovuti. Tre ore di triangoli rettangoli – dimostrare che l’altezza relativa all’ipotenusa divide il triangolo in due triangoli ad esso simili. Adesso simili, prof? Sì bimbe, che forse smettiamo; smettiamo di sottoporre a sollecitazione soverchia le nostre oneste testoline di maestre, i nostri neuroni nuovi nuovi, le sinapsi elementari. – Perché non capiscono la matematica? Sono bravine. Sono molto care. Sono graziose. Ma non capiscono la matematica. Eppure in fondo le amo: sono labili, comiche, instabili, poco solide, non posate, mal radicate, sollecitate cedono, sollecitate, non stanno troppo, ma mi ci aggrappo. “Lei è delicata e preziosa” – io? Mi manca un dito –vedete? – e non è vero che ce li tagliava la maestra se contavamo colle mani, scherzavo, l’altro giorno. L’ho lasciato in una sega circolare. Che non è un incrocio tra una sega mentale e un circolo vizioso. È uno strumento per segare le legna. Le legna. Sì, segavo le legna, non con questo vestitino da donna, non con queste scarpe. Cogli scarponi rossi risuolati e le calzamaglie. Quando abitavo nella casa nel bosco, con mio marito, i miei libri, il mio orto e il campo delle patate. E poi con la gallina Brunilde, la gallina Drusilla e la gallina Gorilla. Amavo la gallina Gorilla. Amavo mio marito. Pensavo di amarlo, forse non come la gallina Gorilla, in un altro modo: colla testa, e col discorso, e con i miei neuroni tutti, e le sinapsi che mi son consumata ad amarlo col discorso, e non è servito a tenerlo. Un giorno mi ha detto: vado, devo andare. Dove? In Germania. È partito dopo due ore e un quarto, dopo diciassette anni. Con un’altra donna. Mah. Fino all’ultimo pensavo fossimo felici. A mezzogiorno mi ha detto che no, lui no, lui non era felice. Alle due e un quarto è andato in Germania. La gallina Gorilla era già morta, anche Drusilla, così son restata con Brunilde, che ci guardavamo e non capivamo. Lei perché è una gallina, io perché mio marito, che amavo, pensavo, più di ogni altra cosa al mondo, era appena scappato in Germania.

sabato 15 febbraio 2014

Miriagrammi 4

1
L.F.  disordine e calunnie
senili crudel fandoni.

Lei, di un francese lindo
fece disordine, in nulla
credendo. Infine illusa
indecisione: far dell’un
due. L’infernal io scinde:
“Lucifero… l’Eden…: Si danni!
…Drenf!…E in culo il Dasein!”
(e nel dicendol s’infuria).

2
Né indi credo in fasulle
cifre, nella disunion de’
nuclei in solide frane d’
anelli in ridde confuse,
né in scaleno defluir di
linee… sconfinar de’ ludi…

3
D’infere lune, lisciando
’n sulle conifere d’India,
la luce si fende… non ridi:
cardini sfondi e le lune,
lisce, fluende, riannodi:
nel danno, cesure di fili…

4
Ed in crude, foll’insanie
d’infocande, illuni sere
rise d’infeconda, illune,
di infecond’illune sera.
Inde l’arse: fu l’incendio

5
Fellone, usi d’incendiar
le fronde; là usi incendi,
incendi sulle fronde… ai!
l’elfo su danni di ceneri,
Io d’incendi sulle frane!

6
Ed annunci serî di folle:
“In fede, indarno c’illuse,
lì, idol in carne defunse:
in luna si crede delfino,
si fonde di ceneri. Nulla!
né lucide ninfe dorsali
né laceri sfondi di lune”.

7
Infin crudele è ‘l naso di
Cirano: finse lune del dì
Cirano, finse: l’Eden l’udì:
“E infin duellerò!” – scandì.

8
Cirano, fin lì, nel Sud dee
difender le luci saline, no,
cesellare in nudi fondi
(fondi d’insule), elencar
l’indice, snodar le funi e
non scalfir l’idee d’uni…
dee sconfinar in duelli,
usa difendere in colline
e fender saldi uncini… olé!

Nell’Indie, rude, si confà,
Cirano, difende in sulle
dune e sa –’l dico – finir nel
dilucol, e snidare le ninfe
e scandir fluendi leoni
in snodar le felci in due.
Sfodera le incudini nel
dedalo, rifinisce l’Unne
e nasconde i ludri in file.

9
Infine del rude Sancio ’l
dolers’ infine Dulcinea:
“Ai! non difenderci sulle
infide luride scale: non
dirci fandonie: su, nelle
fluide scene, ardon Nili
(non facile dirne) delusi;
finiscon le luride Ande
- dillo – insicure, nefande,
nefande sui lor declini”.


10
So: nell’inceder di fauni
sardonici, lune delfine,
dune, caroselli di ninfe
scarni, e ludi elfi.
       Donne!
So farne, delle incudini
false, rilucendo, ed inni
di fanciulli, sode renne
sole, nani, nuclei freddi,
sardine, dilucol, ninfee,
felini e l’anice, Nord, Sud,
Duns e l’iride nel fianco…
So l’inceder finale Indù.

11
… e fui ‘l ninnare del disco:
Din Din. O! ceneri fasulle!

12
Indi fruscio e, nell’Ande,
nonne su felci diedrali
cullansi fin e ridendo
cifran i suoni dell’Eden.

13
Considera lune, delfini,
incendi fasulli e ronde
sul Don: re in fila, decine…

Dice di funeral solenni,
ansie d’un clero in file d’
anni, edredoni, fuscelli…

Lo sa, di cenerin fluendi,
sa un collider di ninfe
d’erinni lacunose, d’elfi…

14
Le facili donne diurne – s’
illude – né confidarsi, né
difendersi…’n cielo luna,
sull’edifici rane… Donne!
Donne d’unici sfraceli!

15
Rendi l’infusion calde,
fendi rondella e unisci
infusi, ronde cialde ’n
scodelle, indi farine: “Un
due – dici – fanno snellire”.
 “C’è due flan di riso, Lenin?”
“No! cena di friselle indù!”

16
Fanno snellir due… dieci
donne fasulle: incider i
fondelli, ed incunear. Sì,
fenden i sen, i culi: “Lardo!”
folli, indican un sedere,
culi finlandesi e ronde
fanciulle. Deridon seni
di donne, fanciulle. Seri,
nulla cedon. Fini sederi
lucon in file. "Desideran
sedan crudi o infin elle
cenan fusilli e deridon
(codarde) l’esil fini Unne?"

17
Ride: “Non an – dice – fusile,
i Siculi ‘nfedel, né nardo,
incudin e fardello – sì – né
fid’elenco d’insularî, né –
si fidi – le urne del Conan!”

18
Linde suocere fan lindi
suoceri e fan Dlin e Dlin
e lindi suoceri fan Dlen.
Linde linde suore ci fan
Din Don: culle e Serafini.

19
Rondinella, Eden fuisci,
d’in sulle conifere andi,
e lì, rondine lind’ e fusca,
lì rendi solenne fiducia.

20
In nasconder due fili le
fan disordini: luce, ENEL,
disfan linee, l’unicorde
linea discorde, fin lune:
discende un linear filo
e face delli suoni: Drinn!