venerdì 2 ottobre 2020

All'incirca amore 1



Le calze gialle

Mi piace quella bimba con le calze gialle. Non gli piaceva solamente, la bimba con le calze gialle, la amava di un amore grande, molto più grande del bimbo che lui era. Ma non lo sapeva dire. Diceva mi piace e voleva dire che quando la vedeva arrivare con le sue calze gialle, e le scarpine color mattone coi bottoncini (due bottoncini color mattone, uno per scarpa), allora nel suo piccolo stomaco di piccolo bimbo si formava quella palletta piccola, ma pesante, che era insieme come una palletta e come un buco, un piccolo foro che dal suo piccolo stomaco dava fuori, nel groviglio degli altri visceri. Non sapeva come spiegare la palletta che era anche un buco, non aveva il vocabolario: intuiva che servissero parole diverse da quelle che possiedono i bimbi, ma non sapeva a chi chiederle. Né soprattutto come chiederle.
   Alle suore no: le suore non hanno nozione mai della palletta nello stomaco, perché loro amano solo il loro dio, che non fa sensazione della palletta nello stomaco, né del buco. Fa la sensazione della felicità. Il loro non è un amore difficile, come quello dei bimbi per le bimbe colle calze gialle. È una cosa facile, che sta già dentro la programmazione delle suore, quando le progettano. Sennò non funzionerebbero, non potrebbero prendersi cura dell'asilo, della cucina, delle tirocinanti e dei bimbi. Suor Adriana perfino si prendeva cura dei denti: quando il dentino lo sentivi che ballava ti mettevi in fila, nel pomeriggio nel salone con le sedie in cerchio, e lei con una cura e insieme una cattiveria che solo le suore, forti del loro amore sereno per il dio, che significa altro dal bimbo, possono esercitare e, con la calma serafica delle sostanze volatili, prendeva il dentino con le dita, ma era come dire con le pinze del dentista, solo più rosa, e con un atto di forza sovrumana, un esercizio di potenza istantanea, un movimento senza movimento e senza ripensamento, senza possibilità di ripensamento, lo spiccava dalla sede sua.
   Non poteva chiedere alla suora: suora come si dice quella cosa che sembra una palletta e insieme un buco, che viene nello stomaco quando vedo la bimba con le calze gialle? Anche lei non possedeva la parola per dirlo. Peggio, non possedeva la nozione che quella parola doveva dire: era un'impresa disperata e inutile.
  Non poteva chiederlo alla mamma: le mamme l'hanno dimenticata, la sensazione della palletta e del buco dei visceri.
   Poteva chiederlo al papà, e infatti provava a chiedergli. Ma gli veniva solo di dire papà mi piace la bimba con le calze gialle. Il papà lo guardava con amore grandissimo e aspettava che il bimbo aggiungesse qualcosa, perché i papà sono timidi, non sanno prendere l'iniziativa. E il bimbo però non sa procedere oltre, e allora stallano. Si guardano come se si capissero, ma è solo perché vorrebbero capirsi. Invece non si capiscono.
   I babbi non sanno parlare, e non sanno dire senza le parole. Il che non sarebbe grave, se non fosse che a volte non sanno nemmeno capirle, le parole, figuriamoci le cose dette senza le parole. O con le parole sbagliate.

Mi piace quella bimba con le calze gialle, e dovrò gestire questa situazione scabrosa da solo. Per prima cosa descriverò dunque la bimba, onde dotarla di una consistenza condivisa: ne farò il comune terreno di discorso, laddove voi e io ci intenderemo.
  È una bimba lunga lunga, con le guance grandi. E gli occhioni. Il resto sono pezzi soliti: capelli, naso, braccia, pancia, piedi. Il collo però è lungo e le gambe sono gialle. Potremmo domandarci, in prima istanza, se siano le gambe gialle che fanno di questa buffa creatura minima il perno di tutta la mia vicenda infantile. In caso affermativo sarebbe da stabilire il perché.
  E se fosse invece la bimba delle calze gialle per la necessità di un indicatore univoco? Questa cosa non l'ho mai capita, la faccenda della priorità logica, e materiale, e causale delle calze gialle. Da dopo che è diventata la bambina con le calze gialle i due piani si sono irrimediabilmente sovrapposti. E del prima non ho memoria. Le calze gialle definiscono la bimba e dunque anche la causano, formalmente, e ne fanno ciò che è, e cioè quell'essere minimo che mi scombina il dentro. Senza garbo, senza mitidio, senza rimedio (sin pudor, sin razón).
  Mi rifiuto tuttavia di ricostruire la sequenza temporale degli eventi a ritroso: ogni analisi a posteriori è falsa, ogni analista, sia pure tu stesso, un cialtrone, che fa essere andate le cose come bello sarebbe fossero andate, come belleppronte premesse verisimili di una prevista conclusione fattibile. Devo quindi tornare all'inizio, ma non per via di recupero. Ma come allora? Per quanto mi sforzi, non arrivo a nulla: non trovo la bambina prima delle calze gialle, o a prescindere da esse. Ne deduco che la bambina ha le calze gialle da sempre, dove da sempre significa da quando è entrata nel mio quotidiano universo, a mitigarne l'orrore.
 Il mio quotidiano universo, qui all'asilo, è fatto infatti di enti spaventosi, a vario grado: il moccicone, il piscione, il morsicatore, i settenani di gesso, il riso scotto, il riposino. In questo gabinetto delle meraviglie a contrario le calze gialle si sono imposte, con subitaneo mozzamento di fiato e strizzamento di visceri, con l'evidenza dell'inevitabile. La bambina sta davanti all'altalena. E da parte della scena — altalena, papero a dondolo, nanetti di gesso, funghi a pallini, panchine gialle, armadietti sul fondo — diventa nell’istante la scena tutta. La scena e il retroscena, e il pubblico e il teatro tutto della memoria. Il grembiulino rosa con il contrassegno del jolly, la creatura fantastica mista di spaventapasseri e giullare variopinto, coi campanellini alle falde del mantellino a spicchi, il collare duro a punte e una corona di cartone, che nella figurina pare d'oro fino. Con pietre di diamante… — E tu che contrassegno hai, bimbo? — Io ho il fanale da burrasca. E l’orologio a polvere. La caligine. La disgreganza. La ghiaia. Il gridore del tuono. Le tempeste d’acciaio. — A me sembra un coniglio — È un coniglio pieno di dolore, però.

Forse la bimba è le calze gialle. Forse la bimba è le calze gialle? Chiedo al mio doloroso coniglio. La bimba è le calze gialle, sì, dice il coniglio, che sa le cose, perché prima era un papero. E ora aprirò la mia anima alla folla chiassosa, dice, perché è un male troppo grande da tenere per me solo. O forse questa scena del coniglio l’ho solo immaginata.

Le calze gialle, germinate dal grembiulino nella scena precedente l’intrusione del coniglio, acquistano in quella successiva un’esistenza quasi autonoma. La bimba è le calze gialle, ha ragione il coniglio, e io sono il loro narratore. 

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