giovedì 3 settembre 2020

Verticali 2

 


Gaibbi Foco

 

Padre Isidro Bordisi ha la testa grande e dentro piena di meraviglia. Di fuori somiglia all’Allocco degli Urali. La mano sinistra, visibilmente più grande della destra, la tiene su di un troppolo, quasi in atto di sconcerto, a significare la provvisorietà lunghissima dei monaci, col pollice però un poco in disparte. La veste l’ha pure lunghissima, di sotto, ma con di sopra le maniche girate sui gomiti (quello sinistro flesso), sì da scoprire due assai poderosi quasi rustici avambracci con che l’arto superiore pare forse sovreccedere quello inferiore, significato dal solo piede sinistro, coi diti lunghi oltre il robone ruspo, gnudi e incerti sul sabbion trito. La mano destra, alla fine del braccio destro, la porta lungo il fianco destro. Questo quando staziona all’esterno, inquieto, ché non è quello il suo luogo naturale.

            Padre Isidro è infatti il responsabile interno per la sicurezza antincendio dell’augusta biblioteca dell’Istituto convento che lo amorevolmente annovera tra i membri più notevoli, e in questa veste sta aggiornando il Registro Ufficiale che la legge dice esser sua cura tenere, onde annotarvi ‘tutti gli interventi ed i controlli relativi all’efficienza degli impianti elettrici dell’illuminazione di sicurezza e dei presidi antincendio, nonché all’osservanza della normativa relativa ai carichi d’incendio nei vari ambienti dell’edificio e nelle aree a rischio specifico’.[1] Nella fattispecie, Isidro sta lavorando ad un progetto di sua invenzione che mira ad estendere il bacino di utenza del Registro, il quale dovrà contenere, accanto ai dati puramente tecnici, che la burocrazia domanda, una serie di dati storico-edificanti, che inquadrino il problema sicurezza nel contesto più ampio della vicenda umana e della vicenda del cosmo in generale. All’uopo, il padre va raccogliendo esempi, ovvero episodi realmente accaduti ed accuratamente documentabili, da una fine analisi dei quali egli intende cavare ausilio, ed ammaestramento, alla casistica infortunistica monastica, presente e futura.

– Bene bene! Ora da questo bel tomo in quarto databile alla seconda metà del diciassettesimo secolo, rilegatura in mezza pelle coeva, esemplare fresco, sebbene brunito al dorso, intitolato: Risposte di dentro 1687 Marzo fino Agosto, che ho testé gattubato alla biblioteca, da questo bel tomo sebbene un po’ brunito al dorso, dicevo, ora ricopio questa bella lettera, che tratta perlappunto del periglio, del fuoco e della biblioteca combusta.[2] E la riempio zipilla di note erudite.

 

Serenissimo Principe (Nota 1: qui occorre prima dire chi era il principe, e poi riassumere quel che segue, se no effettivamente non si capisce un’ostia. Il succo è che l’abate (Nota 2: dire chi era) dei Chierici Regolari di San Salvatore in Venezia lamenta l’incendio che ha appena distrutto parte del convento e chiede fondi. Sorvolare su questo ultimo punto e concentrarsi sulla causa dell’incendio, cioè l’essere stata ammassata, ad opera del magistrato dell’artiglieria, una ingente quantità di materiale altamente infiammabile nei locali del monastero. La cieca obbedienza con cui i Padri si uniformarono alla ragion di stato e le nefaste conseguenze del gesto sono messe in evidenza in un ampio preambolo dottrinale, che magari togliamo, solo che poi non si coglie più la genialità della nota 3. Decidere cosa fare).

            Imparò l’humana conditione da’ primi trascorsi de’ suoi progenitori a conoscere il debito dell’Vbbidienza verso il Signore Dio […].[3] Sortiti però gemelli il Sacrificio, e l’obbedienza in Noi Abbate, e Canonici Regolari di Sant’Antonio di Castello dovremo credere che non potessimo ben guadagnare questo merito coll’humiliatione a’ Sovrani voleri senza l’usura de’ dolorosi sacrificij, a’ quali ci troviamo soccombenti. (Fine del preambolo, inizia la descrizione del fatto).

            Il Magistrato Eccellentissimo sopra l’Artiglieria accudendo al Publico servicio nelle correnti urgenze ci obligò darli comodo de’ nostri due Refettorij Grande, e piccolo (3) di parte del Monastero di sopra, e parte di sotto, e di quattro magazeni soliti quelli prima affittarsi destinati alla manipulatione de’ fuochi Artificiali del f. Co: di T. Felice Muttoni (4). L’imminenza del pericolo promosse i ricorsi modesti a quegli’Eccellentissimi di Proveditori, e prevalendo in questi il Publico Servicio dovessimo rassegnarsi. (Nota 3, velatamente polemica: “Squallidi a refettorio neutri pasti e in basso numerato; o le grasce buone, secondo calendario liturgico quando, in rispondenza a cordiglio e tonaca, il risotto coi funghi.” A. Pizzuto, Ultime e Penultime, Penultime X: Obbedienza, Milano, Il Saggiatore 1978, p. 252. Nota 4, di servizio: dopo avere spiegato chi fosse tale Muttoni, chiarire la dinamica dell’incidente riportando un brano della Relazione dell’Incendio,[4] dove si legge che i locali furono prestati “Acciò il signor Felice Muttoni potesse valersene in manipulare li Fuochi artificiati, che spedir dovevansi in Levante, per ivi valersene contro i Turchi, e mentre si stavano detti Fuochi lavorando, si appiccò il fuoco in que’ materiali, e fecero con la sua forza tanto fracasso, che in poche ore restarono distrutti li Refettorj”. (Fine della descrizione del fatto. Catalogo delle conseguenze).

            I nostri timori però hanno profettizatto coll’incendio lagrimevole accaduto li 22 del corrente, da noi deplorato con tanto numero di lagrime quante furono le scintille, che lo nutrirono (Nota 5, letterario-omiletica: “Quindi apprendi, o mortal, che ancora il Poco / de l’Età, che si perda, o si consume, / pianger si deve a lagrime di foco.” Giacomo Lubrano, Scintille Poetiche, Sonetto XXII; cfr. anche la chiosa del Sonetto II: “pagate il fumo in lagrime correnti”). Habbiamo convenuto piangere la totale distruttione de’ Refettorij decorati da singolarità di Pitture (Nota 6, pittorica: elenco delle pitture notevoli), e sostenendo questi l’antica scielta libraria composta in buona parte de’ libri Greci, et Ebraici, oltre altri rari manuscritti (Nota 7, erudita: elenco dei manoscritti notevoli, rimandare al Diller[5] e alla nota 10), s’è pur essa con loro miseramente incenerita (Nota 8, erudita e alquanto gratuita: argomentare che dal fatto che tra i manoscritti salvatisi si trovasse il De Anima di Aristotele – dire che ora sta alla biblioteca Patriarcale-Arcivescovile di Udine, Utinensis Graecus 257 – non si può in alcun modo sillogizzare l’incombustibilità e sopravvivenza dell’anima al fuoco dell’inferno, dacché dal detto incendio insieme con l’anima si salvò anche il corpus (completo!) degli scritti aristotelici sugli animali (Utin. Gr. 254). Citare qualche articolo recente, il Vendruscolo o il Whittaker, ad esempio[6]).

            Il nostro Monastero è trasformato in albergo di ruine (Nota 9 storico-letteraria: giocando sull’assonanza rimandare al Tasso, ventiquattresima stanza del primo libro della Gerusalemme: “Che gioverà l’aver d’Europa accolto / sì grande sforzo, e posti in Asia il foco, / quando sia poi di sì gran moti il fine / non fabriche di regni, ma ruine?”. Osservare poi en passant come in tali versi sia prefigurata non soltanto la sventura presente ma pure la cagione, cioè l’impiego dei fuochi in terra di Levante (rimandare alla nota 4)) e fragmenti, esposto a’ maggiori pregiudizij nell’esser scoperti tutti li tetti, crollate sensibilmente le muraglie, e scompaginate le stanze, onde resosi quasi a fatto inabitabile siamo constituiti in tale angustia a dover lagrimare l’essilio dal nostro nido (Segue la richiesta di fondi,[7] che tagliamo di netto).

 

– Sicuro che di ruina ce n’è, e di ammonimento; manca la parte edificante. Mi sa che uso quella stucchevole metafora del nido e in nota (Nota 10, a nasty footnote) ci metto la storia dell’uovo, aggiustata ammodino che tanto – Suona campana suona vien giù la sera… – sono appena le cinque.

La storia che Isidro intende rispolverare ed ergere a morale ha a che vedere con l’impropria ed ingombrante presenza dell’uovo (di struzzo) quale elemento architettonico-simbolico nella pittura del sedicesimo secolo. Alla questione (annosissima) il monaco si era accostato anni addietro e parte del materiale faticosamente raccolto, e ora finalmente potenzialmente utile, staziona sul suo tavolo.

– Prima attiriamo l’attenzione del lettore sul fatto che la chiesa annessa al convento dei Chierici Regolari non sia stata minimamente interessata dal qui descritto rovinoso incendio del 1687, e ci chiediamo se da tale miracolosa salvazione sia da trarsi qualche precetto. Suggeriamo quindi al lettore di andare con l’occhio della mente alla più nota illustrazione a noi pervenuta della suddetta chiesa, vale a dire il quadro di scuola del Carpaccio (circa 1511) raffigurante la miracolosa apparizione, in detta chiesa appunto e all’allora priore Francesco Antonio Ottoboni, dei crocifissi del monte Ararat. A questo punto, dopo una rapida sottonota 11 sugli Ottoboni, lo invitiamo a contare il numero di uova di struzzo (ostrich eggs) che compaiono nella scena riprodotta: almeno quattordici (otto tra le offerte votive sulla sinistra del quadro, cinque più una ad ornamento delle due lampade, sempre sulla sinistra della scena) e gli ricordiamo – Com’è felice il cuor! – che proprio in concomitanza con la suddetta apparizione, il convento (e la chiesa) dei Chierici erano già stati risparmiati dalla peste. Lo condurremo in tal modo a comprendere e meditare l’importanza dell’offerta votiva, e della divozione in generale, contro le disgrazie naturali (all’uopo, sarà bene evitare di specificare che, nonostante l’uovo e la divozione, durante il periodo napoleonico la stessa chiesa fu semplicemente ed irrimediabilmente rasa al suolo per fare spazio a degli stupidi giardini pubblici). Per corroborare la nostra tesi attingeremo senza ritegno alla letteratura secondaria, tanto ne abbiamo qui svariati chili di fotocopie, e ci disperderemo con gioia nei particolari…. 

Sul tavolo del padre stanno aperti il classico articolo di Dorothy Miner, “Addendum Ovologicum” (Art Bulletin 36, 1954), e il fondamentale lavoro di Alfons Raes S.J., “A propos des œufs d’autruche” (L’Orient Syrien 3, 1958); sempre sul tavolo sta una cartellina rosa con dentro il resto del materiale dotto, facendo leva coi gomiti sul quale materiale dotto Isidro si sporge oltre il tavolo, a recuperare la prolunga elettrica manomessa.

– Suona campana suona vien giù la sera / torna cantando l’uovo dalla ferriera – l’uovo, ah ah! E ora si accende la pipa, di ogni cultor delle lettere buona musa e compagna. 

Anche questo dell’accensione elettrica è un progetto di invenzione del padre: si manomette una prolunga eliminando la sicurezza; a parte, si spella un cavo elettrico, si estrae dalla trecciuola uno dei sottilissimi fili di rame che la compongono e lo si tronca per una lunghezza di 10 cm circa. Detto filo inarcuato acconciamente, se ne introducono i capi nella femmina della prolunga, la cui estremità opposta viene indi inserita nella presa di corrente (inserire direttamente il filino nella presa di corrente comporterebbe inutili rischi). Grazie all’estrema sottigliezza, il filo non chiude il circuito (il che farebbe saltare il limitatore) ma sublima in una fiammata arancione-verde. La vampa accende un batuffolo di cotone imbevuto di alcool denaturato previamente accostatole ed il batuffolo accende la pipa. Questo in teoria. Nella pratica Isidro resta tutte le volte sorpreso dalla deflagrazione e perde il controllo del batuffolo, si abbrucia i peli della mano sinistra (quella visibilmente più grande) e incendia le carte della scrivania. “Come procede innanzi da l’ardore / per lo papiro suso, un color bruno / che non è nero ancora e ‘l bianco more” ha appena il tempo di chiosare il monaco, poi essendo debole di stomaco perde i sensi, ma il puzzo che sorte di sotto la porta attira i confratelli. 

– Di nuovo padre Isidro!

– Di nuovo?! Ma non gli avevano sequestrato la prolunga?

Tradotto in infermeria, Isidro si riha: sembra allegro:

– Il fuoco traditore investe il chiosatore…

– Padre, state bene?

– Io sì, figliuolo, io mi salvai dalle fiamme dell’abisso, tutte attuose di divampare, ma le carte, le mie carte si salvarono?

– Si salvarono, padre.

– E l’Addendum? Si salvò l’Addendum?

– Si salvò.

– E il librone blu?

– Anche, e anche quello di Pinnuto, padre, manca… manca soltanto quello dal dorso bruno

– … ma per salvare lui non c’è nessuno. Quella però è un’altra canzone, figliuolo.



[1] D.P.R. 30 giugno 1995, n. 418: Regolamento concernente norme di sicurezza antincendio per gli edifici di interesse storico-artistico destinati a biblioteche ed archivi, Capo III , Art. 9, Comma 4.

[2] Cfr. Risposte…, Venezia, R. Archivio Generale, f. 349r-v.

[3] quando li Successori innocenti si conobbero soggetti alla colpa del primo Padre. Dove all’incontro gareggiò nel secondo Padre la prontezza dell’obbedienza, e della profusione delle viscere filiali, e fu con partialità ricevuto dalla Divina gratitudine il merito dell’obbedire, e sospeso l’effetto del sacrificare. Questo Serenissimo Dominio come Vice gerente della Divina Potestà con eguali misure nel essercitio della propria Giurisdittione conosce dovuta l’applicattione di rendersi puntuale l’obbedienza de’ sudditi per stabilire la felicità del Comando.

[4] Relazione dell’Incendio seguito in Barbaria delle Tavolee d’altri infortunii, Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Coll. Cicogna 1996, f. 327.

[5] A.Diller, H.D.Saffrey, L.G.Westerink, Bibliotheca Graeca manuscripta Cardinalis Dominici Grimani (1461-1523), Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna 2003.

[6] Padre Isidro si riferisce presumibilmente a F. Vendruscolo, Codici dell’Argiropulo tra gli Utinenses GraeciIncontri triestini di filologia classica 6 (2006-2007), pp. 289-297 e J. Whittaker, Parisinus Graecus 1962 and the Writings of Albinus, Phoenix 28 (1974), pp. 320-354. L’articolo di Whittaker non è recente, ma non risultano pubblicazioni successive dell’autore (o di suoi omonimi) sull’argomento in questione.

[7] Riportiamo qui per completezza la conclusione della missiva: La disgratia però non si chiama pienamente contenta senza moltiplicare afflittioni a’ gli oppressi. Ha voluto che le nostre lagrime si diffondano a piangere anco le inuasioni della maggior parte delle nostre particolari e usuali povertà, parte infelicemente dissipate nell’horridezza della strage, della quale sarebbero state vittime anco le nostre vite, se la mano misericordiosa dell’Altissimo non ci havesse in quel punto tenuti lontani, parte depredate dall’altrui rapacità emula delle fiamme in simili confusioni. Serenissimo, e Clementissimo Principe. Habbiamo obbedito, e parimenti sacrificato. Humiliati perciò con i singhiozzi più efficaci de’ nosrti Cuori ricorriamo alla Sua paterna, e pijssima Compassione, perché si degni di accorrere con celere mano alla restauratione. E all’impedire quel maggior precipizio che sovrasta imminente, e che resta l’uno, e l’altro impossibilitato a Noi per mancanza totale de’ mezzi nella scarsezza delle proprie rendite. Redimendoci il braccio Sublime di Vostra Serenità impulserà maggiormente i nostri voti ad infiammarsi nell’implorare alla Divina Clemenza perpetua felicità, e Continuati trionfi a questo Augustissimo Dominio, et ad ascriverci per sorte propitia d’essersi ciecamente rassegnati alla prestata Obbedienza. Grazie. 1687 a’ 28 Aprile

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